Addio a Carlo Riccardi

Nella notte del 13 dicembre è venuto a mancare il grande fotografo Carlo Riccardi. Novantasei anni, da settimane ricoverato in una clinica romana, ci lascia uno dei più grandi testimoni dello scorso secolo, che con il suo lavoro e la sua perseveranza ha permesso una ricostruzione fedele del secondo dopoguerra italiano sulla traccia del suo immenso archivio fotografico.


I funerali si svolgeranno giovedì 15 alle 15.30 presso la basilica di Santa Maria in Montesanto, la “Chiesa degli artisti”, in Piazza del Popolo 18 a Roma.

E’ stato un onore collaborare per oltre 11 anni con la sua Agenzia fotografica AGR Press.

Carlo Riccardi è nato il 3 ottobre 1926 a Olevano Romano, cittadina in provincia di Roma, famosa per essere la meta di numerosi pittori europei fin dalla fine del 1800.
Durante l’infanzia la famiglia di Riccardi ospita diversi artisti inglesi e danesi e lui inizia ad appassionarsi all’arte e contemporaneamente apprende diverse lingue straniere

Il padre di Riccardi trasferisce la famiglia a Roma in piena seconda guerra mondiale, e proprio la fine della guerra e la presenza dei soldati americani a Roma ha formalmente reso possibile avviare il percorso fotografico di Carlo Riccardi: i militari, grazie alla capacità di Riccardi di comunicare e tradurre comunicazioni anche importanti, gli hanno messo a disposizione un piccolo ufficio dove inizia a sviluppare, stampare e colorare a mano le foto che poi venivano vendute agli stessi marines e spedite alle famiglie negli USA.

In quel frangente temporale, un ragazzo che di lì a poco sarebbe divenuto famoso in tutto il mondo, colse l’opportunità di sfruttare il “mercato” offerto dai militari americani proponendo le proprie caricature al posto delle foto. Da quel momento inizia la “concorrenza” che a breve diventerà una grande amicizia con Federico Fellini.

Contemporaneamente, grazie al padre di Riccardi, Carlo conosce personalmente anche Ennio Flaiano, il quale, prendendolo in simpatia inizia a portarlo con sé agli eventi mondani e nelle uscite a via Veneto dove si iniziava a consumare quella “dolce vita” che lo stesso Flaiano avrebbe descritto nel soggetto del film premio Oscar del 1960.

Nella pellicola in questione, diretta da Fellini, basata sul soggetto non a caso abbastanza autobiografico di Flaiano, nasce il personaggio “Paparazzo”, cognome del fotografo che Marcello Rubini (Marcello Mastroianni) porta con sè in ogni occasione, divenuto antonomasia del fotografo specializzato nel catturare di nascosto o a sorpresa situazioni particolari che coinvolgono personaggi noti.

La genesi del nome “paparazzo” è molto discussa, per certi versi incerta. La più accreditata è quella che racconta lo stesso Riccardi, che affiancando rispettosamente Flaiano nel lavoro quotidiano, un giorno si trova a chiedergli il significato di un appellativo con il quale era stato da poco apostrofato da Amintore Fanfani: “Riccardi sei come un pappadacio!”.
Da quel momento iniziano quindi le foto a via Veneto, le dritte dei camerieri e dei portieri d’albergo; iniziano le corse in bici, in “topolino” e perfino a piedi per raggiungere gli attori nostrani e quelli americani da una parte all’altra di Roma; iniziano gli appostamenti e le litigate, inizia la corsa allo scoop scandalistico.
Prende vita quindi un modo di fotografare che Riccardi, per tanti motivi, decide di non portare avanti personalmente. I suoi ragazzi di bottega diventeranno negli anni seguenti tra i personaggi più influenti del glamour romano, divenendo essi stessi protagonisti di quel mondo.
Riccardi è più concentrato sul fotogiornalismo. Collabora con decine di giornali fino a fondarne uno suo: la rivista VIP, una raccolta di fatti, eventi e personaggi con una guida sofisticata e lontana dalla ricerca dello “scandalo a tutti i costi”.
Le fotografie di Riccardi non si sono limitate a raccontare la vita sociale ed economica del dopoguerra, ma hanno immortalato la nascita di realtà che tutt’ora segnano e influenzano culturalmente, economicamente e politicamente il Paese: dalla Cisl all’Enel, dal Premio Strega ai vari trattati che hanno dato vita all’Europa.
Nel suo archivio (www.archivioriccardi.it), che la Soprintendenza Archivistica del Lazio stima sia composta da oltre tre milioni di negativi, Riccardi ha raccolto manifestazioni, congressi, personaggi noti e meno noti, grandi eventi sportivi, e dietro le quinte cinematografiche, tutte le elezioni papali da Giovanni XXIII a Francesco, la vita sociale, culturale e rurale – ininterrottamente – dal 1945 al 2001.
Riccardi ha alternato la ritrattistica di grandi attori, scrittori, politici e imprenditori a quella di bambini, contadini, operai, donne e uomini che non facevano notizia, ma che a distanza di anni mostrano il vero volto dell’Italia del secolo scorso.
Dalle baraccopoli del boom economico, al sangue in bianco e nero degli anni di piombo, la rappresentazione della realtà da parte di Carlo Riccardi sfocia anche nella denuncia costante di abbandono delle opere d’arte e dei monumenti italiani.
Il fotografo e pittore che porta ancora nel cuore i dipinti dei tetti rossi della sua Olevano Romano tanto apprezzati all’estero, sfida più volte le autorità con performance artistiche che hanno come scopo quello di sensibilizzare l’opinione pubblica ma anche e soprattutto le amministrazioni sullo stato di degrado in cui versava il patrimonio culturale italiano: nel 1986 con una delle sue maxi-tele (tele dipinte con vari stili e cucite per formare opere di centinaia di metri) “incravatta” l’obelisco di una Piazza del Popolo abbandonata e assunta ormai a semplice parcheggio nel cuore di Roma.

Carlo Riccardi è morto a 96 anni ricordando tutto. Fino alla fine ricordava la guerra, la ricostruzione, il boom, gli anni di piombo, la guerra fredda, la caduta del comunismo, la seconda Repubblica. Carlo Riccardi non ha solo vissuto tutti questi periodi, ma con la sua passione e la sua perseveranza ha contribuito a che le generazioni a venire potessero godere della grandezza del suo lavoro, impedendo alla Storia di passare inosservata, “fermandola” nelle sue immagini e nel suo immenso archivio volto a diventare esso stesso un monumento culturale da tutelare in quanto patrimonio di tutti.